Politica

Non aver partecipato alla Seconda Guerra Mondiale, nonostante l’amicizia con i regimi di Hitler e Mussolini, ha probabilmente consentito a Franco di governare la Spagna fino alla sua morte. Una considerazione analoga può essere fatta anche per la storia politica del Portogallo, con la differenza che il regime portoghese crollò sotto i colpi di una rivoluzione insospettata. Ed è proprio la caduta del regime portoghese e la Rivoluzione dei Garofani del 1974 a destare giustificate preoccupazioni nei franchisti e nei paesi occidentali.

Nel novembre del 1975 la morte del Generale Franco aprì il tormentato processo di transizione che traghettò la Spagna verso un sistema democratico Costituzionale. Il 22 novembre 1975 il re Juan Carlos I di Borbone fu nominato Capo di Stato in base alla legge di successione. Il nuovo re era propenso a promuovere una maggiore apertura democratica del Paese, una politica che sarebbe stata apprezzata sia in Europa sia in alcuni strati della società spagnola compresi l’esercito e la borghesia più riformista.
Tuttavia il re avrebbe preferito evitare sconvolgimenti radicali e il rovesciamento della monarchia in favore della Repubblica. Non bisogna dimenticare, infatti, che furono le elezioni del ’36, con la vittoria del fronte repubblicano, a scatenare la reazione conservatrice e la Guerra Civile. Il Re si mosse dunque all’interno della legalità franchista con la speranza di tenere sotto controllo l’esercito, e allo stesso tempo cercò di promuovere un progressivo processo di democratizzazione per evitare una sommossa popolare delle opposizioni guidate dai partiti di estrazione socialista. Juan Carlos affidò il suo primo governo ad Arias Navarro, che aveva già rivestito incarichi di governo con il dittatore. La figura di Navarro venne bilanciata da ministri che erano apertamente favorevoli a riforme in senso democratico.

L’unica riforma realmente democratica approvata da questo governo si limitò a riconoscere il diritto a riunirsi, a manifestare e a formare associazioni politiche, ma restavano ancora illegali le principali forze di opposizione di ispirazione socialista (PSOE e PCE) con crescenti malcontenti nella popolazione e un pericolo di colpo di stato da parte dell’esercito. Navarro fu spinto a dimettersi il primo luglio 1976.

Per capire le difficoltà di questa fase occorre ricordare che nella Spagna franchista non vi era un partito liberale o conservatore che potesse significativamente incarnare uno spirito democratico. L’Unione Democratica di Centro è l’unico grande partito liberale se si esclude l’AP, nel quale erano confluiti i franchisti più moderati. Le altre grandi forze politiche, socialisti e comunisti, a quel tempo erano ancora favorevoli a un ordinamento repubblicano e per questo si cercava di non coinvolgerli pienamente nel processo di transizione. D’altra parte il loro appoggio era indispensabile.

Una nuova fase si aprì con il governo di Adolfo Suarez, il quale tenterà la strada del costituzionalismo intraprendendo trattative con i leader dei partiti e delle forze sociali di ogni fazione (i sindacati in Spagna hanno avuto storicamente un grande ruolo politico).
Intanto parlare di tensioni nel Paese è un eufemismo. Le manifestazioni di piazza si susseguivano incoraggiate dai sindacati e dai partiti di sinistra, l’esercito rispondeva reprimendo le rivolte nel sangue. La violenza della Guardia Civil e delle frange armate del movimento franchista furono corrisposte dalla ripresa, se mai si era sopita, della lotta armata da parte dei gruppi di sinistra più oltranzisti (GRAPO, MIL, GARI, ETA…) volta a colpire soprattutto militari e funzionari di stato. Intanto il governo Suarez promulga il referendum sulla Riforma Politica in seguito al quale, il 15 giugno 1977, si tengono le prime elezioni democratiche della Spagna. La legge di Riforma Politica consentì una legalizzazione progressiva di tutti i partiti di opposizione, nonché dei partiti di estrema destra e dei partiti nazionalisti di Catalogna e Paesi Baschi. I partiti socialisti, per entrare a far parte del processo democratico, dovettero abbandonare le loro posizioni repubblicane in favore di un sistema monarchico di tipo costituzionale, dove il re avrebbe avuto una funzione puramente rappresentativa e di garante delle istituzioni. Questo processo non fu tuttavia né breve né indolore.

Le prime elezioni consentirono all’UCD di formare un governo di coalizione dal quale sarebbe scaturita la redazione della Costituzione. Il 6 dicembre 1978 venne approvato il referendum costituzionale. Le frange più conservatrici del partito di maggioranza relativa, l’Unione di Centro, vedevano ormai compiersi il superamento del franchismo. Preoccupate da questa rottura con il passato causarono lo smembramento del partito e formarono un’alleanza con l’AP. Antonio Tajero, leader del partito di Alleanza Popolare, sfruttò il momento di debolezza politica per tentare un colpo di stato militare nel 1981. Fortunatamente il progetto “23-F” fallì e nel 1982 si tennero nuove elezioni dalle quali il PSOE ottenne la maggioranza assoluta, formando il primo governo pienamente democratico nella storia del Paese.

Da questo momento il PSOE governerà per oltre vent’anni approvando le riforme e le leggi necessarie alla democratizzazione dello Stato. In questi anni la Spagna avviò un solido processo di modernizzazione del Paese che gli consentì già dal 1986 di avviare il processo di inclusione nell’Unione Europea. Travolto da scandali in cui furono coinvolti alcuni esponenti di governo, il PSOE lascerà il posto al Partito Popolare di José Aznar nel 1996 che governerà la Spagna fino al 2004. Le tornate elettorali del 2004 e del 2008 vedono ancora i socialdemocratici alla guida del Paese, con i governi di José Luis Zapatero.

Negli ultimi anni la strada dei governi che si sono avvicendati in Spagna seguono ancora la via della completa democratizzazione e della modernizzazione dell’economia e della società spagnola.